
“After a risky back surgery, a man in his forties ends up paralyzed. He was told that he will never be able to walk again. After years of suffering, he finds a possible path to healing in practicing yoga. This inner journey will not only bring him back in touch with himself, but also open him to the world. In the farthest reaches of the world, he will meet fascinating human beings that have been saved thanks to yoga.”
“Dopo una rischiosa operazione alla schiena, un uomo di circa quarant’anni si ritrova paralizzato. Gli dicono che non riuscirà più a camminare. Dopo anni di sofferenza, trova una possibile strada di cura iniziando a praticare Yoga. Il viaggio interiore non lo porterà solo a sentire il contatto con la parte più profonda di se stesso, ma gli mostrerà un accesso, una porta verso il mondo. Incontrerà persone affascinanti che sono state salvate grazie allo Yoga.”
Ubud, Bali – Sabato 19 Agosto 2017
Il cinema ad Ubud serve cibo vegetariano, si entra scalzi e ci si gode la visione del film su comodissimi divani, insomma, un sogno ad occhi aperti.
Ieri sera Antonio ed io decidiamo di andare a vedere questo documentario sulla Yoga incuriositi, soprattutto, dalla presenza in sala del regista.
Seppur inizialmente scettica, d’altronde quella di non prendere tutto per oro colato è una mia caratteristica, mi sono dovuta ricredere perché il documentario mi ha commossa profondamente.
C’è una grande umiltà nel raccontare una storia macchiata dalla sofferenza. Si percepisce un forte coinvolgimento da parte dell’autore, che, come diverse altre persone, si avvicina allo Yoga in un particolare momento della vita, quello del supplizio.
Nei circa 50 minuti di documentario, Stéphane Haskell affronta il buio cieco dell’afflizione fisica, che passa inevitabilmente dalla matrice spirituale e di come attraverso lo Yoga si può trovare una chiave di lettura alternativa. Un viaggio che coinvolge ineluttabilmente la nostra vita sotto tutti i punti di vista.
L’autore non sostiene che lo Yoga possa compiere il miracolo ma che l’essere umano possa attuare un processo di guarigione che influisce su ogni aspetto dell’esistenza. Se l’asana è uno dei mezzi del cammino, diventa uno strumento importante.
Il mio insegnante non e’ stato semplicemente colui che era in grado di portarsi la gamba dietro la testa, ma colui che attraverso Prakasha, la potenzialità della coscienza universale di manifestare la propria luce, riusciva a rispecchiarne una parte, a renderla manifesta, attraverso l’espressione individuale di Vimarsha.
Percepisco la fatica e le subdole restrizioni del mio corpo fisico, cosi’ come sperimenta Stéphane nel raccontare il proprio cammino.
Ho avuto la fortuna di ricevere gli insegnamenti di un’ insegnante claudicante che con grande dignità è riuscita a trasmettermi che lo Yoga non è una figura fisica ma una luce che pulsa e si espande.
Mi auguro che tutti noi attraverso la pratica possiamo sentire come lo spazio fisico sia solo una parte ridotta di un disegno piu’ vasto.
Om swastiastu
Paola